Sunday, 2 December 2007

Giordano Bruno e gli infiniti mondi - articolo di Alessio Di Benedetto














La meccanica quantistica si riconoscerebbe nelle sue parole da libero pensatore. Ai suoi tempi son costate a lui la vita

“Di maniera che non è un sol mondo, una sola terra, un solo sole; ma tanti son mondi quante veggiamo circa di noi lampade luminose, le quali non sono più né meno in un cielo ed un loco ed un comprendente, che questo mondo, in cui siamo noi, è in un comprendente, luogo e cielo”. Così suonavano, con armonia di linguaggio, le dolci parole di Giordano Bruno nel suo De l’infinito, universo et mondi del 1583. In cotal maniera egli espresse, con poetica visione, le teorie eliocentriche di Copernico che nel De revolutionibus orbium celestium (1543) continuava d’altronde a rimanere ancorato alla teoria di un cosmo conchiuso e finito, al pari della vecchia concezione di Tolomeo. In seguito Keplero, nel suo Misterium Cosmographicum (1596), sostituirà i moti ellittici ai moti circolari di Copernico. L’astronomo tedesco confesserà inoltre - in quello scritto giovanile - che l’“intelligenza del cuore”, che lo animava, proveniva dalla Scienza Sacra dei Faraoni, ai quali aveva “rubato il vaso d’oro degli Egizi”. Dal canto suo, Giordano Bruno era andato - peraltro - molto al di là dei suoi pensatori ideali, fra cui Nicola Cusano, maestro spirituale di Bruno. L’intuito orfico che sempre lo contraddistinse, scaraventò Giordano d’un balzo, sulle ali del suo “cavallo pegaseo”, nel bel mezzo del XX secolo, quando divennero patrimonio comune le idee di policentralità dell’Universo: innumerabili galassie con illimitati centri.
Le parole di Giordano sono quelle riportate in epigrafe. Esse sintetizzano la visione spirituale bruniana; ripetiamola: “Non siamo più centrali di quanto non lo sia qualsiasi altro punto dell’universo”. Il Cosmo è perciò illimitato. Infiniti sono i “Mondi” ed innumerabili i soli. In tal maniera, egli saltò a piè pari, prevedendole quale chiaroveggente, tutte le scemenze razionali dei cartesiani. Le capovolse così, secondo la sua saggezza arcaica:

“Penso, quindi non sono. Intuisco, pertanto esisto”.
Ma se infiniti sono i Mondi e le galassie, l’uomo non può essere il privilegiato del creato. Tantomeno lo è un “unico popolo”, appartenente alle molteplici e poliedriche razze umane: “Tutte le cose sono nell’universo, e l’universo è in tutte le cose”. L’antica Saggezza Sacra riecheggiava nelle sue visioni astronomiche: “Come in alto così in basso”. (Ermete Trismegisto) Bruno invitava in tal modo gli uomini ad essere più umili, ed a cercare il Grande Architetto dell’Universo negli infiniti cosmi paralleli. Soprattutto nel nostro intimo, di poi nella Natura, l’immanenza divina manifesta il suo volto, senza che burocrati di corte facciano da intermediari. Scopo di una vera religione è quello d’individuare la presenza dell’Harmonia divina in ogni cosa, senza farsi sviare dalle molteplici apparenze, inventate ad arte dai chierici vecchi e nuovi. La filosofia mistica di Bruno esprime l’aspetto esoterico e non volgare dell’insegnamento di Cristo. Essa aspira all’illuminazione interiore, senza che dogmatismi malvagi impongano l’ignoranza più assoluta.
Per tre volte la ragione teologica, che uccide lo spirito, aveva travisato - per malvagi tornaconti di potere - le intuizioni e la scienza degli Egizi, dei Babilonesi e dei Greci. Gli Egizi conoscevano, già dal XVI secolo a. C., la centralità del Sole, come afferma Keplero nella frase anzidetta. Sapevano altresì del moto ellittico dei pianeti. Certamente fin dal III sec., prima dell’èra volgare, Aristarco di Samo faceva l’ipotesi del sistema eliocentrico, che mal s’accordava con l’arroganza dei teologi, che credevano di essere gli unici abitanti d’un palazzo infinito. Simili “preoccupanti” teorie dovevano andar distrutte con la mitica e favolosa biblioteca di Alessandria d’Egitto nel II sec. della nostra èra. Soltanto il fuoco non lascia tracce. Epperò il pensiero ha la capacità di resistergli. Anzi, con esso si vivifica e prende altresì vigore. Molte altre epoche dovevano però trascorrere. Frattanto si ricadde nelle plumbee filosofie di morte, con l’homo teologicus al centro del fuoco infernale, distruttore dell’antica libertà di pensiero. Dopo 32 secoli dall’epoca egizia, e dopo 18 dal greco Aristarco, le verità di ieri bussavano di nuovo alla porta della Conoscenza per reclamare i loro diritti, per bocca di Giordano Bruno.
Ancora una volta il rogo attendeva il libero pensiero, libero perché animato solo da amore per gli uomini e per tutte le cose del creato. D’altro canto, per il filosofo di Nola, l’amore è il motore primo di tutte le cose viventi: “È per virtù dell’amore che tutto è stato prodotto, e l’amore è in tutto. L’amore riscalda ciò che è freddo, illumina ciò che è oscuro”. Ebbene sì. Il fuoco dell’Amore Cosmico lo illuminò a tal punto che egli predisse con furore esoterico il Secondo Principio della termodinamica: “Nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si trasforma”. Ah, quanto tardi arrivi Ragione, appresso all’intuito altrui:
“Come la materia e la sostanza delle cose sono indistruttibili, così tutte le loro parti sono assoggettate a tutte le forme, al punto che tutto si trasforma in tutto, se non in un medesimo batter d’occhio, almeno in istanti diversi, uno dopo l’altro e scambievolmente”. L’intuito, l’irrazionale e l’intelligenza del cuore non sono mai andati d’accordo con la Ragione desolata, finalizzata solo ai propri tornaconti personali. Nell’arte, ancor più “maggior pensiero non è ragione di maggior perizia ed intelligenza”. Dunque non ci si può basare sui procedimenti della ragione per conseguire l’arte perfetta, ch’è figlia solamente della natura delle cose, laddove la vera “anima del mondo” “è piena di ragioni”. E siffatte ragioni si esplicano nella loro interezza ed essenza, unicamente mediante la matematica, di cui fecero gran uso Pitagora e Platone: “La matematica che c’insegna a fare astrazione dalla materia, dal moto e dal tempo, ci rende capaci d’intendere e contemplare le specie intelligibili”.
“La Chiesa si è chiusa per tanto tempo al puro respiro del pensiero, che i suoi pozzi e le sue gallerie sono piene delle marcescenze di secoli; è sufficiente un’unica scintilla per far saltare per aria come una polveriera tutta questa dottrina di autoistupidimento imposto dall’alto” .
La Magia Nera dei ciarlatani, inoltre, al pari della “credulità nella fede”, mortifica la ragione e la “luminosità delle idee”, attenuando “l’immagine di una peggior cosa”. Dal canto suo, la Magia Bianca è invece lo studio - con amore - delle leggi di Natura, per intervenire su di esse a nostro favore e secondo però quelle leggi stesse dell’Harmonia naturale: “Gli stupidi ed insensati idolatri non avevano raggione di ridersi del magico e divino culto degli Egizi; li quali sapeano per mezzo della specie che sono nel grembo della natura, ricevere que’ benefici che desideravano da quella”. Con puro spirito immanentista, Giordano Bruno afferma la conformazione harmonica della materia. Similmente a Leonardo egli considera le relazioni strette fra ogni cosa ch’esiste nell’universo. Luce, suono e colore sono tra essi sottoposti alle stesse leggi delle analogie universali, di cui ragionarono gli antichi Caldei, Egizi, pitagorici e platonici. Ancora una volta, il Fuoco del Cuore illuminava le leggi della Natura, che oggi sono oggetto di studio mediante la teoria dei frattali di Mandelbrot: la materia, apparentemente diversa in ciò che appare ai nostri sensi, è invece simile in ogni suo rapporto interno (frattale): “L’ordine di una figura particolare e la consonanza di un determinato numero evocano tutte le cose”. Richard Wagner ammirò a tal punto questa mente illuminata da proclamare che se Giordano Bruno, che gli stupidi monaci in quella bella Italia fecero perire sul rogo, fosse nato sulle rive del “Gange egli sarebbe stato onorato come un saggio e come un santo”. Ahi noi, la ragione desolata era in agguato ancora una volta, per consumare uno dei crimini più efferati che la storia moderna ricordi.
Correva l’anno del Giubileo del 1600. Bruno aveva subìto otto anni di prigionia ed interrogazioni da parte dell’Inquisizione romana. Stremato nel fisico, ma non nello spirito, egli continuava a ribattere, ai monaci del Santo Uffizio, che non vi è alcuna religione al di sopra della verità. Quel 20 di gennaio, Roma assisteva ai carri allegorici di una “sacra rappresentazione”, inneggiante alla vita di Cristo. Ciononostante, il papa Clemente VIII decise per la condanna a morte del filosofo. Lo consegnò così al braccio secolare, ossia al boia, affinché si facessero tutti i preparativi per il grande rogo. La sentenza del Tribunale dell’Inquisizione fu motivata in questo modo: “Ha detto che non deve né vuol pentirsi, e non sa di cosa pentirsi, né di cosa deve pentirsi. Per cui era pronto a dar ragione di tutti i suoi scritti e detti, difendendoli contro qualsiasi teologo”. Tra il pubblico ludibrio, organizzato ad arte dagl’Inquisitori, Giordano fu trasportato fino al luogo dell’esecuzione su una carretta. Un laccio ben stretto correva fra le labbra e la nuca e gli teneva la bocca spalancata ed immobile. La sua parola intimoriva i carnefici persino sul punto di morte. Giunti che furono in Campo de’ Fiori, Bruno fu denudato e legato ad un palo, ed arso vivo. Nessuna pietà per lui, neppure una salvifica morte immediata. Sappia chi è lontano da simili misfatti, che il condannato non moriva subito, ma dopo che numerosi pezzi di carne si erano staccati dal suo misero corpo, tra urla di dolore infernali.

Due giorni dopo l’esecuzione, un avviso recitava: “Giovedì mattina in Campo de’ Fiori fu abbrugiato vivo quello scelerato frate domenicano da Nola: heretico ostinatissimo et avendo di suo capriccio formati diversi dogmi contro nostra fede”. Siffatte parole corrispondevano in modo sin troppo perfetto a quel fideismo religioso di cui Bruno aveva tanto discorso nei suoi scritti e contro cui aveva tuonato parole di fuoco. In tal modo non s’ottiene né la sapienza né la saggezza, bensì soltanto il dogmatismo più deleterio e perverso. Anche al di là delle sue conoscenze, Giordano Bruno è divenuto, per il pensiero moderno, il simbolo della massima libertà d’espressione, per la quale si dispose a morire. Da allora iniziò una nuova vita, che sarà chiave di volta della coscienza morale moderna.

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